IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza alla udienza dibattimentale del 15 febbraio 1994 con procedimento penale a carico di Tortone Giovanni, nato a Verzuolo il 15 ottobre 1947, res. Carmagnola, via Monta, 15, imputato, del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 perche' effettuava scarico di acque derivanti dalla attivita' della Officina Tortone di Casalgrasso (lavaggio di pezzi meccanici), tali da superare i limiti di accettabilita' di legge (tabella C) relativamente ai parametri tensioattivi anionici/oli minerali. Rilevato che la difesa dell'imputato ha sollevato la questione di costituzionalita' dell'art. 60, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, in relazione all'art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. La difesa prospetta la illegittimita' costituzionale dell'art. 60 della legge n. 689/1981 (che prevede la sostituibilita' di certa pena detentiva con misure alternative) in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto tale norma, pur modificata dall'art. 5 della legge 12 agosto 1993, n. 296, che ha elevato i limiti di pena detentiva entro i quali e' possibile la applicazione di sanzioni sostitutive, mantiene la esclusione oggettiva da tale beneficio del reato contestato (art. 21 della legge Merli). Detta esclusione, a parere della difesa dell'imputato, sarebbe priva di ragionevole giustificazione dal momento che l'ampliamento dei limiti entro i quali e' consentita l'applicazione delle sanzioni sostitutive consente ora di operare la sostituzione di pene detentive erogate per reati da considerarsi piu' gravi ed indicativi di ben maggiore pericolosita' sociale. La considerazione sopra esposta, seppure ragionevole, potrebbe apparire generica al punto da non consentire di ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza rendendo, di conseguenza, inopportuno il ricorso alla Corte costituzionale. Cio' in quanto la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi in tema di ragionevolezza della pena, ha sempre mostrato di voler riconoscere, correttamente, il primato del potere legislativo inteso quale espressione concreta delle scelte politiche che sottendono alle norme. Pur tuttavia, nella fattispecie, appare evidente la presenza di assoluta mancanza di motivazione circa le ragioni del diverso trattamento, sul piano sanzionatorio, di analoghe situazioni. Correttamente e' stato rilevato che a seguito della entrata in vigore della legge n. 296/1993 la Corte costituzionale con sentenza n. 249/1993 ha dichiarato la illegittimita' dell'art. 60 della legge n. 689/1981 nella parte in cui stabilisce che le pene sostitutive non si applicano al reato previsto dall'art. 590, secondo e terzo comma, del c.p. limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Tale esclusione oggettiva per determinare lesioni colpose era infatti divenuta inconciliabile con la sostituibilita' della pena erogata per il reato di omicidio colposo. Diversamente, tra due condotte lesive di un medesimo bene giuridico, avrebbe potuto e potrebbe beneficiare di sanzioni sostitutive quella di maggiore gravita' e lo stesso beneficio non risulterebbe applicabile a quella di gravita' minore. Nel caso in esame (art. 21 della legge Merli) si verifica una analoga situazione di comparazione che non puo' non indurre a ritenere senza giustificazione la esclusione oggettiva del beneficio della conversione della pena detentiva. Nel campo delle norme poste a tutela della difesa della salute dei cittadini e/o della qualita' della vita e della difesa della natura non si puo' certo ritenere che l'intervento legislativo sia caratterizzato da chiarezza e razionalita'. Nel settore specifico dell'inquinamento delle acque vigono norme emanate su sollecitazione di diversi enti e organismi (regioni, C.E.E., organi ministeriali) che pongono all'interprete seri problemi di coordinamento e ai destinatari delle norme stesse altrettanto seri problemi di precisa individuazione dei comportamenti da evitare in quanto costituenti illecito penalmente sanzionato. In concreto si e' verificato che il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 133, si e' venuto a sovrapporre alla disciplina dettata dalla legge n. 319/1976 (intendendo l'ultima norma tutelare le acque interne superficiali, le acque marine, le acque interne del litorale e le pubbliche fognature dagli scarichi di sostanze, pericolose per la salute umana o comunque dannose al sistema idrico e geologico, provenienti da scarichi industriali). L'art. 18 di tale decreto al quarto e quinto comma contempla ipotesi di reato correlate a quelle dell'art. 21 della legge Merli. Il quarto comma punisce con l'arresto fino a due anni l'effettuazione di uno scarico con valore inquinanti superiori ai limiti fissati dall'allegato B (che contempla sostanze pericolose quali il mercurio e il cadmio). Il quinto comma sanziona che l'arresto da tre mesi a tre anni la violazione del divieto assoluto di scarico nelle acque sotterranee, sul suolo e nel sottosuolo delle sostanze contenute nell'allegato A (di provato potere cancerogeno). Per tali fattispecie contravvenzionali non opera certamente, per difetto di esplicita previsione o di norme di rinvio, il divieto di sostituzione delle pene detentive previsto dall'art. 60 della legge n. 689/1981 per l'art. 21 della legge Merli. Tale disparita' di trattamento non pare trovare alcuna giustificazione in quanto le norme poste a confronto tutelano lo stesso bene. Di conseguenza, non essendo giustificata la disparita' di trattamento che costituisce ipotesi di contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, appare indispensabile sottoporre all'esame della Corte costituzionale la questione affinche' la Corte stessa stabilisca se nel contesto normativo sopra riportato, l'esclusione oggettiva di cui all'art. 21 della legge n. 319/1976 dalla possibilita' di sostituire la pena detentiva con le sanzioni sostitutive di cui all'art. 60 della legge n. 689/1981 costituisca o meno ingiustificata disparita' di trattamento e contrasto con il principio costituzionale di uguaglianza fissato dall'art. 3 della Costituzione. La sollevata questione appare certamente rilevante stante la formulazione da parte dell'imputato di richiesta di applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p. nella misura di mesi uno e con sostituzione della pena detentiva con la sanzione della ammenda.